immagine Chiesa di Sant’Antonio da Padova

Monumento, Storico

Chiesa di Sant’Antonio da Padova

Esempio di devozione privata, l’edificio misura appena dodici metri quadrati. La sua costruzione avvenuta nel 1652 si deve al corinaldese Tiberio Ciaffoni. Qui i contadini che dalla piana del Nevola venivano in paese si fermavano a calzare le scarpe che fin lì avevano tenuto nella sacca e così accingersi, con profondo senso di dignità ad entrare nel borgo.

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La chiesa di Sant’Antonio da Padova (in tutto dodici metri di superficie: larga metri 3,10 e lunga 4,00) è il primo luogo di culto che appare a chi risale dalia valle del Nevola, quasi all’ingresso di Corinaldo. Ne commissionò la costruzione il corinaldese Tiberio Ciaffoni nel 1652 in un terreno di sua proprietà. Al suo interno riposano lo stesso Ciaffoni e altri devoti al Santo. Il 18 febbraio 1707 con uno specifico atto notarile, Maria Antonia Nobili in Clementi, per i suoi antenati e posteri fece dono alla chiesa di una possessione con casa in contrada Pregiagna e di un altro piccolo appezzamento di terreno nei pressi, con casa contigua alla chiesetta. La stessa Mobili lasciò ai figli di Pietro Giuseppe Cesarini di Corinaldo la facoltà di nomina del cappellano o rettore della chiesetta di Sant’Antonio con un compenso di 14 scudi e l’obbligo di tre messe settimanali in suffragio dei defunti di famiglia e di dieci messe nella festa del Santo. In un inventario del 1750 la chiesa viene descritta con un unico altare, dove in mezzo ad un nicchione vi è una statua di detto santo e nei lati di detto altare vi è una statua della Madonna Santissima e dall’altro lato l’Angelo dipinto in cartone che annuncia la Madonna. La chiesa, richiamo importante per la religiosità popolare dei secoli passati è stata officiata fin verso la metà del secolo scorso. Per altro la sua particolare posizione segnava un punto di sosta obbligatorio, secondo quanto raccontano le persone più anziane. Qui, infatti, i parsimoniosi contadini che dalla valle del Nevola arrivavano in paese si fermavano a calzare le scarpe che fin lì avevano tenuto nella sacca e così accingersi, con profondo senso di dignità ad entrare nel borgo.

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